Monteforte d'Alpone, Verona, (2003 - 2007)
A margine del centro abitato di Monteforte, lungo l’argine del fiume Alpone, con uno splendido scenario di morbide colline e svettanti cime a nord, in un contesto caratterizzato da ampie colture a vigneto, nasce l’idea del complesso edilizio denominato “Residenza al Vicariato”. Tre sono gli elementi salienti fra loro fortemente correlati che caratterizzano l’intervento: la Villa, il Borgo e l’interrato. La Villa, intesa quale complesso organizzato di volumi architettonici con gerarchie e funzioni diversi, risponde al classico impianto peculiare delle dimore storiche che ha caratterizzato, anche nel veronese, un certo modo razionale e romantico di interpretare il costruito. Il Borgo, a differenza della forma razionale della Villa, si sviluppa in modo disarticolato assumendo i connotati dell’impianto medievale con direttrici. Tra i due impianti, superando la tradizione che ne voleva l’ubicazione all’interno dell’edificato della Villa, la cappella è stata posizionata con un criterio non ortodosso a testimonianza che l’intervento è del tutto nuovo. L’interrato, sottostante la falda acquifera di circa due metri, occupa una superficie di ottomila metri quadrati. La sua realizzazione è stata possibile grazie ad un enorme impegno tecnologico di bonifica idrica; è destinato ad autorimesse e ospita la grande centrale termica garantendo così che la superficie esterna sia completamente libera da automezzi e gli alzati dei corpi di fabbrica sgombri da antiestetici e sgradevoli impianti individuali.
Soave, Verona, (2007)
Il primo segno sul “campo” bianco ha spesso l’aspetto della banalità, a volte della convenzionalità, mentre, viceversa, dovrebbe rappresentare l’idea, l’invenzione, il primo e unico passo per il grande, smisurato e mai pago, percorso progettuale. Quel segno, tanto sospirato, diventò matrice dell’impianto planimetrico; l’asse maggiore della grande ellisse che diventa piazza, cono ottico privilegiato per la vista del castello scaligero. Ai lati del vuoto urbano sono state concepite “Corte Cangrande” e “Corte Mastino I”. Le scatole murarie di entrambe le corti sono state disegnate seguendo schemi ideali compositivi classici: alzati prestigiosi con bugnati che definiscono l’attacco a terra, forometrie ricche al piano “nobile”, aperture minute nei sottogronda. E poi ancora loggiati, recinti di sasso, porticati a volto, poggioli di pietra, contorni e modiglioni in tufo, coperture con coppi tradizionali, importanti comignoli dalle forme primitive.